Wednesday 26 November 2008

"su ritu de sa pana" rituale sardo per le morte di parto

In Sardegna la società riservava un culto particolare agli spiriti delle donne morte di parto, chiamate Panas o Pantamas, in quanto protagoniste del più puro e sincero sacrificio .

Si credeva inoltre che esse, morte in un gesto d’amore supremo, non trovassero pace se non lavando ogni notte, per sette anni di seguito, i propri indumenti insanguinati o quelli del proprio figlioletto.


In molte zone dell’isola, fino a non molti anni fa, i familiari, cercavano di aiutarle a riscattare la loro anima incaricando delle donne esperte in questi rituali, di lavare la biancheria di nove puerpere che avevano felicemente dato alla luce il proprio figlio.

Chi si offriva per questa operazione, doveva volgere le spalle al ruscello, tenere gli occhi chiusi, e un rispettoso silenzio.

Doveva insomma comportarsi come se lei stessa fosse lo spirito della defunta.

La cosa meravigliosa di questo rituale era che non solo si aiutava i parenti della defunta  a superare il dolore del lutto.. ma contemporaneamente si aiutava chi effettivamente aveva bisogno di una mano, per evitare che chi aveva partorito senza problemi, si trovasse poi a morire per stenti o mancanza di igiene.

In altre zone, per alleviare la triste pena della Pana si seppellivano con lei degli oggetti che avrebbero dovuto trattenerla nella tomba, distraendola, evitando così che il suo dolore si sfogasse su altre partorienti, neonati o suoi propri familiari.

Gli oggetti che accompagnavano la Pana nella tomba erano molto significativi: un pezzo di tela e un ago con del filo non annodato, che avevano il compito di farla cucire senza che potesse portare a termine il suo lavoro, impedendole così di vagare in pena nel mondo dei vivi.

Si mettevano inoltre un pettine e una ciocca di capelli del marito che avrebbero dovuto dargli la sensazione di essere in compagnia del proprio amato, distogliendola così dall’idea di portarselo via.



( confronta : “Lo sciamanesimo in Sardegna”, Dolores Turchi”)




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