Ogni pastore si spiega i propri mali quasi in modo metafisico, da fatalista.
Tu credi che la colpa sia solo della terra sarda, delle sue montagne con le loro pietre e le loro querce, delle sue bellezze insomma.
[…]
Tra la rabbia ed il pianto, tra l’odio e l’amore, tra il sorriso e le lacrime, maledicemmo la terra sarda come se stessimo lasciando veramente la nostra prigione.
E nella nostra beata ignoranza imprecavamo contro chi non ci aveva mai fatto male, contro la terra che ci aveva nutrito e contro le intemperie che l’avevano fecondata.
Noi non conoscevamo altro fattore responsabile del nostro male. Il nostro vero avversario non lo potevamo ancora conoscere. E dal pullman che si snodava lungo la discesa e le pianure, di tanto in tanto, pronunciavamo l’ormai famosa frase, divenuta quasi rituale per gli emigranti:
“Addio, querce di Sardegna.
Adiu chercos de Sardigna”
Tu credi che la colpa sia solo della terra sarda, delle sue montagne con le loro pietre e le loro querce, delle sue bellezze insomma.
[…]
Tra la rabbia ed il pianto, tra l’odio e l’amore, tra il sorriso e le lacrime, maledicemmo la terra sarda come se stessimo lasciando veramente la nostra prigione.
E nella nostra beata ignoranza imprecavamo contro chi non ci aveva mai fatto male, contro la terra che ci aveva nutrito e contro le intemperie che l’avevano fecondata.
Noi non conoscevamo altro fattore responsabile del nostro male. Il nostro vero avversario non lo potevamo ancora conoscere. E dal pullman che si snodava lungo la discesa e le pianure, di tanto in tanto, pronunciavamo l’ormai famosa frase, divenuta quasi rituale per gli emigranti:
“Addio, querce di Sardegna.
Adiu chercos de Sardigna”
Tratto da "Padre padrone" di Gavino Ledda
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